Francesco Saverio Petagna (intransigente) vescovo dell’ ‘800 meridionale. Apostolato e spiritualità di un padre del cattolicesimo sociale (di Giovanni Greco)

Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e Maria

Dopo il buon libro di Eduardo Mario De Seta sulla vita del servo di Dio, Francesco Saverio Petagna, edito nel 1972, dopo i contributi di padre Francesco Gioia e di Corrado Gneo, dopo gli elogi Funebri di Sarnelli, di De Gregorio e di De Iorio, alla fine dello scorso anno, è stato pubblicato il nominato poderoso lavoro del Celoro, dopo molti anni di ricerche e di studi, e da cui bisogna ora ripartire per l’adeguata conoscenza dello spessore culturale e religioso del Pastore stabiese, e che s’inserisce nel più ampio quadro di riferimento della difficile vicenda della Chiesa nello scorso secolo. Quest’ultima, nella prima metà dell’Ottocento, svolgeva con minore efficacia rispetto al passato la propria funzione, e con difficoltà tentava di frenare il processo di disgregazione della società, che alla vigilia dell’unità, si presentava in condizioni di significativa prostrazione. In generale il popolo accettava solo esteriormente le indicazioni pontificie, ma conservava le proprie pratiche; all’anno liturgico preferiva la scansione di una temporalità agraria, vivendo perciò le devozioni legate ai ritmi produttivi della campagna. Spesso il cristianesimo, in ispecie in determinate zone, continuava ad avere una valenza devozionale senza completi coinvolgimenti etici. Mentre da un lato una parte cospicua della popolazione meridionale era ostile alla istituzione ecclesiastica, dall’altro lato gli atti di culto troppo di frequente si esaurivano nell’invocazione dei santi protettori e nel pellegrinaggio annuale al santuario, per chiedere aiuto contro i malanni.

E nel XIX secolo, malgrado mirabili fatti di segno contrario, si raggiungeva l’apice del progressivo allontanamento del popolo dalle istituzioni ecclesiastiche, nelle cui attività e proposte pastorali sempre meno riconosceva il riferimento alla propria cultura ed al sentimento religioso. E’ in quest’alveo di notevole complessità che va ad innestarsi l’opera del Vescovo Petagna, che da qualunque punto esaminata fornisce un’immagine di grande caratura: come la tela di un pittore scadente, se osservata nei particolari, risulta subito incomprensibile o volgare, così il pittore veramente bravo racconta già tutto in un decimetro quadrato dell’intero dipinto. E’ ciò che emerge subito quando vengono passate al setaccio la vita e le opere di monsignor Petagna.

Francesco Saverio Petagna nasceva a Napoli nel 1812 ed a quindici anni vestiva l’abito talare, ed a diciassette, malgrado il difetto d’età, con la relativa dispensa del Pontefice Pio VIII, riceveva la clericale tonsura e poi gli Ordini Minori. In occasione dei suoi solenni funerali il Canonico del Capitolo Cattedrale di Castellammare di Stabia, don Lorenzo De Gregorio, ricordando il chiericato del Petagna, diceva che era stato “tale l’amore allo studio.., che per la continua applicazione venne giovanetto afflitto da grave infermità da ridursi al limitare del sepolcro”, sicché i medici dovettero arrivare al punto di impedirgli qualunque applicazione mentale. Nel 1833 si poneva in condizione d’ascendere agli Ordini Maggiori dopo aver ricevuto l’ordine del Diaconato, divenendo sacerdote il 19 dicembre 1835 nella cattedrale di Napoli per le mani del Cardinale Arcivescovo di Napoli Filippo Giudice Caracciolo. In quegli anni era solito recarsi ad offrire assistenza nelle carceri di Castel Capuano e nell’ospedale degli Incurabili; parimenti risultava assiduo anche agli incontri serali coi fedeli, le cosiddette cappelle serotine. Nel 1850, dopo un periodo al Rettorato della Chiesa di San Ferdinando in Napoli, veniva nominato Vescovo da Pio IX per la vacante Chiesa Cattedrale di Castellammare di Stabia.

Il primo decennio di episcopato del nuovo Vescovo è stato definito dal Celoro “un evento tellurico”. Infatti mentre da una parte il Vescovo sembrava avere l’atteggiamento di chi sostiene che bisogna esser prudenti con la prudenza, giacché la prudenza divenuta abitudinaria era da considerarsi pericolosa, dall’altra parte vi erano persino non pochi sacerdoti non estranei ai sommovimenti di quegli anni o aderenti alla massoneria. E quindi sin dall’inizio del suo operato a Castellammare si comprendeva che il Vescovo era alla ricerca di un corretto equilibrio fra pensiero ed azione, e mi sembra che a lui ben s’attagliano le ispirate parole di don Helder Camara: “Ho pena di chi ha solo opinioni credo all’azione di chi ha convinzioni che divengono carne della propria carne”. Quando il Vescovo stabiese prese in mano le sorti della Diocesi le acque erano fortemente agitate ed i problemi erano relativi persino alla Concattedra, alla stessa amministrazione diocesana, ad alcune inadempienze di decreti apostolici in talune sagrestie; ed era assai difficile per il Prelato non rimanere coinvolto nelle lotte fra i Capitolari stabiesi ed il Canonico Arcidiacono Raffone, fra i Canonici di Lettere e quelli della Cattedrale.

Il Vescovo si segnalava per un grande zelo pastorale con una carità spiccatissima, tanto che il Nunzio Apostolico in Napoli lo definiva “Elemosiniere”. La sua carità era veramente di carattere universale, e come venne scritto in occasione della traslazione delle ossa del Vescovo Petagna dal cimitero alla Cattedrale stabiana: “Non vi fu lagrima che Ei non rasciugasse, non dolore che non lenisse, non afflizione che non racconsolasse, non affanno che non dileguasse”. Grande fu la gioia del Pastore quando nel 1851 arrivò in Diocesi il primo gruppo di otto suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, che presero cura di una scuola per giovanette, dell’ospedale civile e della ruota dei protetti. Ancora nel ‘51 il Vescovo creava la Congregazione dell’Immacolata Concezione e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, congregazione missionaria che muoveva alla conquista delle anime “per tramite di Maria Vergine”. La vita claustrale era costantemente all’apice del Munus del Pastore, malgrado i gravi contrasti con la Priora del Monastero di Santa Maria della Pace in Castellammare, la quale forse non sempre faceva professione di umiltà e di obbedienza. Nel ‘56 il Vescovo istituiva la Congregazione dell’Immacolata Concezione, una Congregazione di sacerdoti secolari con lo scopo d’istruire fanciulli e di provvedere al ricovero ed all’assistenza dei più miseri, e poi il Ritiro dell’immacolata per le Figliole Orfane, sotto la direzione delle Sorelle della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Ed ad ulteriore conferma della vitalità del cristianesimo, nel ‘67, favoriva la creazione della Pia Unione delle Figlie di Maria Immacolata, che era la scintilla originante la nascita delle Povere Figlie di san Pietro d’Alcantara; nel ‘71 sanzionava canonicamente l’Istituto delle suore Compassioniste Serve di Maria. Il Vescovo aveva, fra l’altro, una speciale attenzione e pietà per, com’Egli scriveva, “le donne perdute nel vizio e poi pentite”, creando per loro un Ritiro, e s’iniziava così con due maestre e sei pentite, ma già in pochi mesi le pentite si quadruplicarono. Ed il Ricovero veniva fondato in una casa del padre di Suor Maddalena Starace. Poiché il Vescovo sapeva bene che il miglior nodo di diventare un uomo onesto è quello di cominciare ad essere un fanciullo onesto, creava l’Orfanotrofio di Scanzano, un asilo di mendicità, nuove cattedre nel Seminario Diocesano stabiese, atte a preparare un clero più adeguato ai tempi, senza dire dell’edificazione di nuove chiese e cappelle. Nell’epidemia di colera si riconobbero meriti grandissimi al Pastore, con riconoscimenti anche dal re Ferdinando Il di Borbone, che lo fregiò della Croce di Cavaliere dell’ordine di Francesco I. E si badi che le epidemie di cholera-morbus oltre ai lutti, avevano spesso persino una connotazione politica, sia per l’aspetto storicamente antico delle unzioni, sia perché vi era chi insinuava che la malattia non fosse naturale, ma propinata dalla monarchia borbonica, scatenando, in particolare in Sicilia, in Abruzzo ed in Calabria moti e violenze, come ben ci ricorda, fra gli altri, Luigi Settembrini.

In realtà nel Meridione ad essere valorizzati erano proprio la parrocchia ed il clero secolare, a cui erano demandate le maggiori responsabilità di culto e di catechesi. Religiosi e conventi che nell’età moderna avevano costituito le grandi forze per operare il controllo anche sociale nelle campagne meridionali, venivano ridotti e ridimensionati. Era la parrocchia quindi a coinvolgere la realtà sociale e territoriale, costantemente preparata a difendere la propria specificità culturale ed economica. Questa situazione era molto chiara al Vescovo Petagna, che non a caso rivolgeva ai parroci esortazioni del seguente tenore: “… pensate al ministero che avete ricevuto dal Signore a fine di adempirlo… e siate modello nel parlare, nel conversare, nella carità, nella fede, nella castità, nella dottrina, nella purità de’ costumi”. E tutto ciò avveniva in tempi in cui l’avvento del regime liberale coglieva, in ispecie la Chiesa meridionale, disorientata, e, come sostiene Francesco Barra: “Sotto la cappa soffocante del paternalismo borbonico, la Chiesa trascorse l’ultimo decennio di vita del regno delle Due Sicilie in un clima artificioso e precario, apparentemente tenuta salda ed unita, al vertice, da una gerarchia legatissima ai Borboni e da essi stessi selezionata, ma scossa in realtà alla base da profondi turbamenti ed inquietudini”. Quando il crollo della dinastia borbonica sconvolse lo statu quo e produsse una nuova situazione politica, il Vescovo con tutte le sue forze difese i diritti della Chiesa e del ministero sacerdotale, nel mentre invitava il clero a non immettersi in cose estranee al servizio sacerdotale. Ma intorno a lui s’era fatta terra bruciata, per cui dovette lasciare la Diocesi per recarsi nell’esilio di Marsiglia (utilizzazione stabilita da Pio IX), pur di non celebrare i fasti del nuovo regime, e, come ribadisce il Celoro, “preferì l’esilio ai trionfi degli spergiuri”. Queste disavventure capitavano contemporaneamente a numerosi altri Vescovi, come pure all’Arcivescovo di Salerno, monsignor Salomone, che parimenti aveva a subire persecuzioni e ben tre processi.

Il Vescovo Petagna, pur non essendo contrario all’unità nazionale, non poteva accettare i rapporti tra stato e chiesa che comportavano la soppressione di ordini religiosi, parrocchie, istituzioni ecclesiastiche: il tutto in un clima in cui non era difficile cadere in disgrazia. E sa solo il Signore quanto dovette soffrire il Vescovo per il distacco dalla sua gente, dai suoi diocesani, dalla terra che amava, ed il tormento per la prova che dovette affrontare, per cui questo passaggio della sua vita è uno di quelli che meno va perimetrato, ma maggiormente approfondito ed esaltato, per le lacrime ed il dolore senza pari: “Cadde ieri. Ma il suo sangue già oggi stesso si innalza”. Ciononostante nella Diocesi di Marsiglia il Vescovo Petagna espletò tutte le funzioni inerenti al carattere episcopale, ispirandosi all’enciclica “Quanta cura” di Pio IX; ma anche qui amarezze e dispiaceri non mancarono al Vescovo. Fu proprio ai tempi dell’esilio marsigliese che risalì l’incontro denso di profonda spiritualità con la pastorella della Salette, Melania Calvat. L’abate Paolo Govin, al riguardo ebbe a scrivere: «Aveva il Vescovo troppo sofferto la minaccia dei carbonari e delle insufficienze di un clero poco istruito e talvolta accecato dalla propaganda massonica, per non desiderare ardentemente la Riforma spirituale che reclamava il ‘ Segreto’». Più avanti la pastorella ebbe a recarsi a Castellammare, una volta rientrato il Pastore, e poiché il Vescovo considerava Calvat uno strumento di apostolato, le chiese di dare lezioni alle religiose contemplative stabiesi: d’altro canto monasterium sine libris, est sicut civitas sine opibus, mensa sine cibis, pratum sine floribus. Quando solo il 14 dicembre 1866 il Vescovo poté tornare nella sua Diocesi, ritrovata in una situazione di grande dolore per il colera di quegli anni, riprese immediatamente la sua vulcanica opera, cercando di ritessere le fila del tessuto connettivo delle strutture ecclesiastiche, di ricongiungere le grandi masse contadine alla Chiesa, di operare una azione stabilizzatrice nel campo sociale e politico.

Intanto Pio IX, prima ancora della pubblicazione del Sillabo, aveva manifestato l’idea di convocare un concilio ecumenico per rimediare “con un mezzo straordinario alle straordinarie afflizioni della Chiesa”. E fu così che il Vescovo partecipò al Concilio Vaticano I, tenutosi nel 1869-70, unitamente ad altri settecento padri, dove peraltro si definì l’infallibilità del Papa, e dove ci si divise fra infallibilisti ed anti-infallibilisti. E’ necessario perciò svolgere opportune indagini, per ciò che attiene la figura di monsignor Petagna, sulle carte relative al Concilio Vaticano I (in particolare gli Acta Conciliorum, la Collectio amplissima del Mansi, ed almeno i lavori di Ballerini, di Addone, di Campana, di Ciasca, di Cecconi), perché va esaminato il contenuto degli interventi del Vescovo nelle sedute delle commissioni e delle sottocommissioni, soprattutto in relazione al tema del Pastor aeternus, giacché fra i non placet ed i placet juxta modum, vi furono addirittura cinquantacinque padri che per proteste motivate lasciarono Roma. Infatti sia l’arroventato clima politico che le violente controversie teologiche avevano determinato gravi incidenti nel concilio ed intorno ad esso, ed, anche se tutti i Vescovi italiani furono con Pio IX, è opportuno conoscere il merito delle argomentazioni di monsignor Petagna. Ma coloro che attaccavano soprattutto il dogma dell’infallibilità pontificia, forse non comprendevano che, col Concilio, la reputazione morale della Chiesa s’era ingigantita, e la stragrande maggioranza dei cattolici venerava la persona del Papa per il Suo ufficio pastorale ed il Suo ufficio pastorale per amore della Sua persona.

Dopo il Concilio Vaticano I, il Vescovo Petagna pose mano alla concretizzazione delle sue idee fondamentali. Egli era convinto che tutti hanno in sé il germe dell’amore, ma che sta a noi svilupparlo, oppure lasciarlo atrofizzare; la nostra capacità d’amare ce la dobbiamo costruire giorno dopo giorno. Anche per questi motivi il Pastore, come sostiene padre Francesco Gioia, cercò di “realizzare un grande sogno: quello di diventare animatore di santità”, con l’idea di un’istituzione in grado di tendere alla riparazione dei peccati ed alla educazione dei giovani.

La prevalenza dei problemi materiali di ogni giorno nella pratica religiosa del popolo non agevola l’interiorizzazione della vita cristiana: fu con questo spirito che nel 1871 si svolsero gli atti di consacrazione ai Sacri Cuori di Gesù, di Maria, di Giuseppe — come dicono i latini i nomi sono l’essenza delle cose — voluti, come scrisse in una pastorale, per dare compiuta realizzazione all’intera sua visione della vita religiosa. Al riguardo ebbe a scrivere: “Raccolgo dunque tutti i pensieri dell’animo e tutti gli affetti del cuore per trovar modo da preservar con amorevoli cure il mio gregge… E qual migliore ricovero additarvi, figliuoli dilettissimi, che quello voluto da Dio stesso, cioè i Sacri Cuori di Gesù, di Maria, di Giuseppe ? Adunque con immensa gioia e soddisfazione del mio cuore vi annunzio il pensiero che venivami da Dio di veder consacrata con atto solenne, pubblico, universale, simultaneo, l’intera Diocesi di Castellammare di Stabia ai Sacri Cuori di Gesù, di Maria e di Giuseppe”. E la prima Superiora fu una Clarissa, di grandi doti, appositamente fatta uscire dalla clausura, per “avviare l’opera mentovata”, Suor Maria Chiara Bischetti. Ed all’Oratorio delle Religiose designate prima “Santa Famiglia”, poi “Vittime dei Sacri Cuori”, infine “Suore dei Sacri Cuori”, non mancarono privilegi pontifici. Il Vescovo Petagna era stato fra coloro che, nell’ottocento, aveva presentato “come carisma la vittima consacrata all’amore”, convinto della straordinaria efficacia della pedagogia della “Vittima” . Come sostiene Corrado Gneo, superata la pedagogia del sacrificio, “Francesco Saverio Petagna eredita tutto l’ideale romantico dell’eroe.., ma lo approfondisce e lo eleva allo stato cristico della Vittima, che è l’Agnello che ‘toglie il peccato del mondo’”. E’ proprio dalla pedagogia delle Vittime che si offrono a Dio, che si trae il nesso con lo spirito di San Francesco, di cui sono informate le nuove Costituzioni, per cui la Congregazione delle Religiose dei Sacri Cuori viene aggregata all’Ordine de’ Frati Minori. A queste Suore il Vescovo Petagna, per dirla col poeta Rafael Alberti, volle significare: “Cantate forte, udrete che odono altre orecchie guardate alto vedrete che guardano altri occhi palpitate forte, sentirete che palpita altro sangue”, consegnando Loro delle Regole in cui non sono poche le pagine di “letteratura spirituale di rara compenetrazione del fatto educativo con la teologia”. Come la vita del Loro Fondatore, così “la vita delle Vittime dei Sacri Cuori  deve essere un misto di contemplazione e di azione, cercando nella preghiera il frutto del Loro apostolato e nell’apostolato il fine della preghiera”. Ma al Vescovo non sarà concesso tutto il tempo necessario per impostare definitivamente la sua opera al riguardo, perché già nel ‘78 si aggravò nel suo male, ed il 18 dicembre di quell’anno morì povero nel suo Episcopio, non prima d’aver detto, con l’umiltà che contraddistingue anche la Congregazione dei Sacri Cuori: “Io cerco perdono a tutti, perché non ho saputo mai fare il Vescovo”.

La sua azione invece era stata apprezzata appieno, come peraltro testimoniano le parole non di circostanza del suo successore monsignor Vincenzo Maria Sarnelli. Intanto la comunità dei Sacri Cuori che s’era accresciuta sino ad oltre cento suore, dopo la morte del Fondatore, corse il pericolo della disgregazione, per lo sconforto e per la povertà, e così riottenere la fiducia delle famiglie costò alle poche suore rimaste sacrifici inenarrabili, In compenso però l’Istituto ha avuto a guida mirabili figure di Superiore Generali, quali suor Assunta Nicoletti, la prima delle nove postulanti vestite il 21 novembre 1872, suor Adelaide Sanniolasuor Chiara Cocciasuor Teresa Romanosuor Luisa Scarfatosuor Bernardina Santarcangelo sino all’attuale Reverendissima Madre Generale Angelica Mastroberardino.

Indubbiamente la fraternità deve rimanere uno dei cardini dello spirito delle Religiose, come indica monsignor Vincenzo Fagiolo, giacché “la presenza delle Suore dei Sacri Cuori nella chiesa sarà pertanto efficace, perché, come Maria, esse sapranno accogliere e vivere il dono di Dio e divenire un messaggio di speranza per gli uomini del loro tempo”. E persino l’assistenza e il conforto alle sorelle anziane o malate ricopre un’importanza non secondaria, per vivere compiutamente la presenza del Cristo sofferente. Padre Carlo Cremona, valutando gli scritti (“le sue pastorali erano veri trattati di vita spirituale”) e le opere del Vescovo Petagna, magistralmente scrive: “Anche attraverso una ricostruzione biografica egli si rivela uomo moderno, la cui austerità sacerdotale nulla toglieva alla grande dolcezza della sua espansiva paternità. Le Religiose dei Sacri Cuori, debbono sentire il compito non solo di attuare le sue Regole, ma anche di far rivivere ai nostri tempi, non meno laicisti di quelli del Petagna il misticismo soprannaturale e la dolcezza di un uomo che merita di essere ricordato, seguito, amato come una grande guida spirituale”. Monsignor Petagna, come peraltro tramandato dal periodico “La Scienza e la Fede”, anche da lui fondato, aveva un’autentica venerazione per Pio IX, alla stregua di un altro grande della Chiesa, un santo, San Giovanni Bosco, di cui ricorre l’anno prossimo il centenario della morte, il quale alla pari del Vescovo, si può forse dire che amasse i politici risorgimentali?

Ed a mio avviso si possono riscontrare talune somiglianze di comportamento e di operato tra il Vescovo Petagna e San Giovanni Bosco, soprattutto per ciò che atteneva alla sfera del voluto mancato ricorso alle raffinatezze aristocratiche, alla comune testardaggine contadina, rispettivamente napoletana e piemontese, ai comuni interessi relativi agli ospedali, alle carceri, alle scuole, al profondo credo per la religiosità femminile, l’uno creando, fra l’altro, la Congregazione delle Religiose dei Sacri Cuori, l’altro la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Quindi monsignor Petagna è nella scia di San Giovanni Bosco e di altri due santi “sociali”, Cafasso e Cottolengo, come testimonia, tra i tanti, uno scritto rivolto agli operai: “.. è mestieri che le autorità superiori altresì scendessero a conoscere i bisogni de’ loro dipendenti, a prendere vivo interesse del loro stato, ad animarsi dello spirito cristiano per teneramente amarli”.

Ed inoltre non è azzardato ritenere che monsignor Petagna fosse anche in grande sintonia con sacerdoti straordinari come il francescano padre Ludovico da Casoria, di cui da poco sono trascorsi i cento anni della morte, e come don Filippo Smaldone, quanto cioè di maggiormente all’avanguardia vi fosse nel diciannovesimo secolo, con grande spessore popolare, al di sopra di qualunque sovrastruttura politica, dimostrandoci che siamo davvero, per tanti versi, figli dell’Ottocento. Il Vescovo Petagna chiedeva che il pane venisse spezzato per tutti, e che a dividerlo non fossero i ricchi, ma la famiglia urlante dei poveri, ed affrontava i problemi in modo concreto e generoso, cercando di superare ogni difficoltà di linguaggio, di razza, di educazione. Gli interlocutori del suo dialogo apologetico erano in particolare i protestanti, i razionalisti, i seguaci della “trista filosofia”, secondo l’espressione del Rousseau, e la metodologia proposta, per giungere alla verità, era quella mutuata da San Bernardo: “l’opinione, la fede, l’intelligenza”. Non è che alla fine emerga una figura lineare, ma l’immagine di un Vescovo complesso e dalle tante sfaccettature, pur in un quadro di unitarietà. Né d’altra parte il Celoro, e questo è un altro dei suoi precipui meriti, si è adoperato per convincerci di una tesi o di un’altra, preferendo che fosse il lettore, sulla base dei materiali riportati alla luce dal suo lavoro di autentico certosino, a tirare le fila conclusive. Ed in questo il Celoro non si è risparmiato, esaminando documentazioni di archivi parrocchiali, archivi di stato, archivi storici comunali e diocesani, archivi vescovili, archivi generali di Congregazioni religiose, archivi notarili sino all’archivio segreto vaticano. In base all’analisi di questo materiale, oggi ancora più che ieri, si può affermare che la vita del Vescovo è stata governata da quattro passioni, semplici ed irresistibili: l’amore per il Signore, il desiderio dell’amore per gli altri, la ricerca del sapere e l’insopportabile pietà per le sofferenze umane. E peraltro le sue coordinate mentali correttamente comprendevano la valenza della collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico: “…tenetevi sempre con me accompagnati per portarlo». A ciò infine si aggiunga che monsignor Petagna ha spesso remato controcorrente: la sua pedagogia ha fondamenti essenziali ed al tempo stesso, per certi aspetti, innovativi; la sua ideologia non in sintonia con un paese liberalizzante; eppure con questi strumenti, con questi sussidi, con questi sentimenti, con una carica immensa di carità e di fede, va avanti sino alla completa affermazione della sua opera.