Fuoco di Pentecoste – Sulla scia di Pio IX (di don Adolfo L’Arco) (III parte)

Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e Maria

Quando tramonta il Sacro Romano impero, trionfa il razionalismo, emerge il laicismo e nasce “la religione di stato”. Il Risorgimento italiano è in pieno vigore, ma trova un forte ostacolo nel potere temporale del Papa. La massa dei cattolici è convinta che il Papa, con la perdita del potere temporale, perderà anche la libertà. Il nostro giovane Vescovo ne è convinto anch’egli; è santo, ma non è certamente un genio politico e perciò, come la quasi totalità, non legge i segni dei tempi. Egli certamente ama, eccome, la libertà, ma quella personale, che è autocoscienza ed autodeterminazione, e lavora, come sa e può, per liberare questa libertà da tutti i condizionamenti. Tra questi legami della libertà sono le passioni e i costumi. C’è poi la libertà politica che lavora con ogni mezzo per l’autonomia dello stato dalla Chiesa. Quelli che lavorano e combattono per questa libertà politica si chiamano appunto i liberali. I liberali sono tutti concordi nel promuovere l’unità d’Italia e nell’affrontare il problema del potere temporale fino ad enfatizzarlo, ma essi non portano il cervello all’ammasso, come più tardi avverrà col comunismo; e perciò tra loro c’è una vivace ricchezza di mentalità che va da quella dei cattolici eccelsi, ai tribuni plateali. Sono liberali le due vette più alte della cultura: Manzoni e Rosmini, sono liberali Mazzini e Garibaldi, ed è liberale Cavour che bandisce il programma: Libera Chiesa in libero Stato. Questo programma, in realtà, non è suo, ma del cattolico Montalembert. Non Stato contro Chiesa, non Stato assoggettato alla Chiesa, ma Stato autonomo. Tra questa variegata schiera di liberali fanno spicco quelli che sono considerati, e sono realmente, gli eroi, ossia quelli che sono stati perseguitati dai governi reazionari. Molti di questi propugnano una nuova religione, la religione della Patria. Tra le forze che brillano al sole agisce, forse più di tutte, quella sotterranea, quella delle sette. La più forte di esse e la più duratura è certamente la massoneria. Questa ha, come scopo principale, la distruzione della Chiesa cattolica, anche se è abbastanza disposta ad accogliere il protestantesimo. Ben inteso, non l’accoglie perché ama Gesù, ma perché lo considera come un cuneo per spaccare la Chiesa cattolica e per detronizzare il Papa. I massoni si impadroniscono delle cattedre d’università e dei centri di potere. Nella quasi totalità gli artefici del Risorgimento erano massoni. S. Agostino lucidamente osserva che le radici del grano e le radici della zizzania, sotto terra, sono intrecciate ossia, come si dice in latino, sunt cumplexae sono complesse, perciò i problemi riguardanti il bene ed il male sono complessi. Questa situazione si verificò in forma eccezionale nel periodo storico in cui fu vescovo il nostro Servo di Dio. Il clero in Italia, e soprattutto nell’Italia Meridionale, grosso modo si poteva distinguere in tre categorie. Prima categoria: gli amanti ed i nostalgici dell’antico regime; seconda categoria: i sensibili al nuovo e perciò al Risorgimento ed alla libertà politica; terza categoria: i sacerdoti che davano il primato assoluto alla vita soprannaturale, minimizzavano i problemi politici e demonizzavano i nemici della Chiesa e gli amanti del malcostume. I migliori di questa terza categoria in Pio IX vedevano una vittima delle forze sataniche, ne condividevano il Calvario e ne provavano una pia tenerezza. A questa terza categoria appartiene il nostro santo Pastore. Mons. Petagna non è borbonico, del Regno dei Borboni non approvava certamente il lago di sangue in cui soffocò la Repubblica partenopea. Si rifletta su questo periodo del suo pregevole studio, che per incarico del Cardinale di Napoli, Sisto Riario Sforza, scrisse in preparazione al Concilio Vaticano primo. Per la elezione dei Vescovi sarebbe il momento opportuno di finirla una volta colle nomine regie da presentare al Papa per l’approvazione. Si conoscono purtroppo i grandi mali che ne vengono alla Chiesa, ancorché quelle venissero fatte da un principe eminentemente cattolico. Il giovane Vescovo era troppo intelligente ed aveva troppi amici tra le intelligenze acute di Napoli, per essere contento del governo borbonico, ma sapeva accontentarsi del re Ferdinando II, che era indubbiamente credente, aveva accolto con venerazione Pio IX profugo, ed era un benefattore della sua Castellammare.

L’arcivescovo di Sorrento, suo amico e compagno d’esilio, Mons. Apuzzo era stato precettore di Francesco II, che i napoletani chiamavano Francischiello, come vezzeggiativo, i liberali per disprezzo. Ebbene mons. Apuzzo gli parlava in termini superlativi del giovane re, che per opportunismo fu tradito anche dai suoi parenti piemontesi. In realtà questo giovane pio, ed anche colto, molto aveva ereditato dalla madre Cristina di Savoia che è Serva di Dio. La storia sta facendo luce e da molti studi si può dedurre che l’ultimo re di Napoli è degno figlio della madre santa. Il Vescovo Petagna era perdutamente dedito all’apostolato e irrevocabilmente unito al Sommo Pontefice, in cui venerava il dolce Cristo in terra. Per lui Pio IX era più volte dolce: dolce per amabilità, dolce per pietà mariana, dolce perché faceva tenerezza a causa del suo perenne calvario. Il nostro giovane Pastore era un comunicatore d’eccezione e perciò dal suo inconscio si rovesciava sulla folla devota il suo stato d’animo che naturalmente non era simpatico ai liberal-massoni, detentori del potere e della cultura egemone. Nonostante la sua eccessiva prudenza, il Pastore non riuscì a sottrarsi alla loro persecuzione larvata di cinismo.

La diocesi di Castellammare respirava lo stesso clima politico della vicina metropoli e la reggia di Quisisana ospitava frequentemente i re Borboni e molte intelligenze napoletane frequentavano la ridente cittadina climatica. Gli estremisti e i fondamentalisti non mancavano nella diocesi anche tra il clero e la rivalità godeva ottima salute. Tra i canonici di Castellammare e di Lettere c’erano addirittura delle beghe che oggi farebbero ridere come la rivalità per la foggia delle cappe. Il popolo riempiva le chiese ed era ancora rispettoso del clero. I pochi mestatori scalmanati provenivano in genere dalla malavita ed erano assoldati e manovrati dalla massoneria, nascosta dietro le quinte. Molti Vescovi delle Due Sicilie, purtroppo, guardavano più a Napoli che a Roma. Il nostro Pastore, benché napoletano, aveva continuamente lo sguardo a Roma ed il cuore in perfetta sintonia col cuore di Pio IX. Potremmo dire che a Castellammare nella sfera dell’apostolato egli pensava col cuore del Papa. Pio IX indubbiamente non era un genio politico e neppure leggeva molto bene i segni dei tempi, ma come Pontefice era veramente sommo e degno degli altari. Come Dante ha scritto di S. Marco: pedissequo di Pietro, così noi potremmo dire: Petagna pedissequo di Pio IX. Questa perfetta riproduzione dello stile di Pio IX irritava terribilmente i massoni liberali di Castellammare. Il primo decennio del Vescovo Petagna ebbe moltissime gioie, anche se non mancarono i dolori e le incomprensioni. Il suo zelo entusiasta, il suo amabile ascendente e la sua saggezza dinamica gli crearono un’atmosfera di simpatia e coinvolsero molti nella sua attività. Egli non voleva esecutori di ordini, ma collaboratori i quali esercitavano i loro carismi, che trovavano immancabilmente spazio ed incoraggiamento dal Pastore. Il pensiero che gli facesse ombra qualche sacerdote di valore è lontano dal Vescovo distanze astrali, anzi egli era felice e fiero di circondarsi di intelligenze brillanti. Anche il nostro Petagna, nella scia di Pio IX, curò gli interessi religiosi delle anime, su quelli politici. Ma proprio la perfetta adesione al Papa lo rese inviso ai massoni politici.

Con l’arrivo di Garibaldi a Napoli nel 1860 si aprì un periodo burrascoso per i migliori Vescovi della Campania. La storia deve giustificare e non giustiziare e tanto meno intende giustiziare il povero cristiano che scrive, il quale è entusiasta dell’Unità d’Italia e ammira enormi valori negli artefici del nostro Risorgimento, ma non può negare che quei celebri patrioti, in nome della libertà lavorarono indefessamente per togliere la libertà alla Chiesa. Essi tenevano in alta considerazione la libertà politica, ma poco o niente si interessavano della libertà individuale, di quella libertà cioè con cui la persona umana libera appunto la libertà dai condizionamenti delle passioni e dalle ideologie, che prendono il posto di Dio e si assolutizzano fino a pretendere sacrifici umani. Il nostro Vescovo aveva ben radicata nell’animo limpido la dignità della persona umana, a cui tutto deve ordinarsi e tutto deve subordinarsi, non esclusa la patria. Ma mettere la patria al posto di Dio giova alla crescita in umanità? Anche Mazzini che proclamava il trinomio: Dio, popolo e patria, avrebbe risposto negativamente. Invece Garibaldi eccelso condottiero ed eroico stratega era però allergico ai problemi metafisici: gli stava a cuore più la spada che la persona.