La Famiglia Petagna vantava «antiche e cospicue tradizioni gentilizie» e nel corso dei secoli ha dato alla Chiesa un vescovo, dei monsignori, sacerdoti, religiosi. Il nome di Francesco Saverio fu dato, dai coniugi Domenico e Angelica Cataldo, al loro figlio, in memoria d’uno zio paterno, canonico della cattedrale di Sorrento.
Verso i quattordici anni, Francesco Saverio fu iscritto nell’albo dei chierici, come allora si usava, e a 17 anni ottenne l’abito talare. Nel 1835, a soli 23 anni, fu ordinato sacerdote. Le prime attività pastorali, di cui parlano le biografie, si riferiscono all’assistenza agli ammalati nell’ospedale degli Incurabili e dei detenuti nelle carceri di Castel Capuano.
A Napoli erano in vigore — e prosperavano — le cosiddette cappelle serotine, cioè degli incontri serali con i fedeli, specialmente i giovani e i popolani, durante i quali venivano affrontati temi di particolare importanza, secondo gli avvenimenti cittadini e nazionali che a Napoli trovavano risonanza. Don Francesco Saverio Petagna era assiduo a tali appuntamenti e le sue conversazioni si protraevano fino a tarda sera. Un altro assiduo appuntamento pastorale — ma questa volta con «il fiore della aristocrazia napolitana» — avveniva nella Chiesa di S. Ferdinando, ove aveva sede l’Arciconfraternita di S. Luigi di Palazzo, detta così perché situata nei pressi della reggia. Di tale Arciconfratemita il Servo di Dio fu nominato direttore. Proprio in questa sede egli nel 1841 in collaborazione di uomini celebri — tra i quali il Card. D’Avanzo, il Sanseverino e il D’Amelio — aveva fondato una rivista cattolica dal titolo significativo La scienza e la Fede.
Per la sua preparazione culturale e spirituale, il card. Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, lo nominò professore di S. Scrittura nel liceo di Napoli e gli affidò l’insegnamento ai giovani chierici. Così si svolse, per quindici anni, la vita sacerdotale di Don Francesco Saverio Petagna. Una sera di gennaio del 1850 egli stava predicando le Quarantore, davanti a un uditorio piuttosto modesto, in una chiesa di Napoli. Tra la gente, stava un personaggio di eccezione, S.M. il re Ferdinando II di Borbone, venuto apposta per rendersi conto, in incognito, di quel prete ancora giovane che gli era stato proposto per la nomina alla chiesa cattedrale di Stabia. Il regio decreto che nominava Don Petagna vescovo di Castellammare di Stabia porta la data del 14 gennaio 1850.
Dal decreto di nomina, che era di pertinenza del re secondo la legislazione allora vigente, alla Bolla di nomina, che doveva venire da Roma, passarono più di quattro mesi. Infatti, la Bolla porta la data del 20 maggio 1850. Il lungo intervallo è dovuto nella prima fase alle solite lentezze burocratiche. Sul decreto dovette pronunciarsi il Capitolo della cattedrale di Castellammare che rivolse al vescovo nominato alcuni quesiti circa delle vertenze pendenti. Successivamente, in una seconda fase, la pratica spedita al Papa, arrivò in un momento particolarmente turbolento. L’11 aprile Papa Pio IX improvvisamente aveva lasciato Gaeta, con tutta la sua corte, ed era rientrato a Roma. Per la formalizzazione della propria nomina, mons. Petagna dovette aspettare il concistoro del 20 maggio, nel quale fu nominato e proclamato vescovo di Castellammare. La consacrazione del nuovo vescovo avvenne il 16 giugno 1850, nella cattedrale di Napoli, l’ingresso a Castellammare subito dopo.
Se la fase di Don Petagna rientra nell’epoca della Restaurazione europea e italiana, la fase di «mons. Petagna» coincide con l’epoca del Risorgimento italiano, dall’indomani della prima guerra d’indipendenza all’unità d’Italia, che si conclude con la conquista di Roma e la sua proclamazione e ristrutturazione a capitale della nazione nel corso degli anni 70 del secolo scorso. Il ministero episcopale di mons. Petagna comprende una prima fase, relativamente tranquilla, oltre che pastoralmente fertile di iniziative, protrattasi per un decennio, cioè dall’indomani della consacrazione al fatidico 1860, l’anno della caduta dei Borboni e dell’arrivo di Garibaldi. Già da semplice sacerdote, mons. Petagna aveva manifestato particolare interesse per la cultura e l’istruzione a servizio dell’azione pastorale. La prima cura la dedicò al seminario. Pio IX aveva emanato già dei documenti per richiamare l’attenzione dei vescovi sulla necessità di assicurare ai futuri sacerdoti un’elevata cultura, in modo che fossero in grado di dialogare con una società in continuo progresso sul terreno scientifico. Il nuovo vescovo cominciò dal fabbricato del seminario che rifece quasi interamente.
Purtroppo nel 1860, date le condizioni di precarietà che attraversava l’Italia del Sud, si pensò di rinviare momentaneamente i giovani Seminaristi in famiglia; ne approfittarono le autorità che requisirono l’edificio e ne fecero un ospedale militare. Ricorsi e processi si susseguirono fino aI 1867, quando si giunse a un accomodamento e, invece del seminario, il vescovo ottenne l’uso del convento soppresso di S. Francesco fino a quando non si fossero trovati locali da adibire alle scuole municipali succedute all’ospedale militare nell’edificio del seminario. Per facilitare una sana formazione dei Seminaristi, il Petagna nel 1854 sanzionò e promulgò le Regole del seminario stabiano, ispirate a S. Alfonso dei Liguori.
Un’altra iniziativa di carattere pastorale a base culturale è l’erezione di «Congregazioni dello Spirito», per le quali il Servo di Dio dettò anche un regolamento. Si tratta di una riedizione delle Cappelle serotine attive a Napoli, destinate agli studenti delle scuole pubbliche e private, compresi tra i 10 e i 24 anni. Data l’ora in cui si tenevano le riunioni, il popolo le chiamava le congregazioni dell’Ave Maria. I giovani formati a queste scuole di spiritualità diventavano il fermento tra i loro compagni e nelle loro famiglie.
Un settore relativamente nuovo, in cui si impegna ora come vescovo mons. Petagna, è quello delle iniziative di carità cristiana, servendosi ampiamente dell’opera delle religiose o dei laici cattolici. Fin dal primo anno del suo governo pastorale invita le Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, cui affida una scuola per ragazze e l’assistenza ai malati negli ospedali. Una di queste fanciulle, educate dalle Figlie della Carità e cresimata da mons. Petagna, la piccola Costanza Starace, sarebbe diventata, sotto la guida del Servo di Dio, Suor Maddalena della Passione, fondatrice delle Compassioniste.
Sempre nel campo della carità, in questo periodo sorgono nella diocesi di Castellammare un orfanotrofio e un convitto femminile. Le due istituzioni furono affidate alle Suore di Carità di S. Vincenzo, che poterono reggere l’incarico dal 1854 al 1859, quando le vicende politiche italiane le costrinsero ad abbandonare la direzione. Il Servo di Dio si rivolse allora alle Suore Stimmatine. Infine, per le ragazze esposte alla prostituzione, fondò il Ricovero in una piccola casa che il padre di suor Maddalena Starace gli mise a disposizione. L’iniziativa conobbe sviluppi favorevoli, tanto che suor Maddalena ottenne dal vescovo di pernottare in quella casa e di aprirvi dapprima una scuola di ricamo, taglio e cucito e poi anche un oratorio. Nel 1870 quattro compagne di suor Maddalena chiesero di vestire il suo abito: così ebbe origine l’istituto delle «Oblate dei sette dolori della Beatissima Vergine Maria» detto «istituto delle Suore Compassioniste ».
Un decennio fecondo, quello che va dal 1850 al 1860, come si vede. In esso ebbero origine molte tra le più belle iniziative del giovane vescovo. Iniziative che incontrarono le difficoltà del tempestoso decennio seguente, ma che comunque approdarono a quelle méte che il Servo di Dio si proponeva.
Col 1860 comincia il periodo più tempestoso della vita e dell’attività del servo di Dio. A Napoli si conclude la spedizione dei Mille. Garibaldi vi entra da trionfatore. Cade il regno dei Borboni. Viene indetto il plebiscito per l’annessione alla Casa Savoia. Contemporaneamente dal Nord l’esercito piemontese scende annettendo i territori dell’Italia centrale. Così il 18 febbraio 1861 si inaugura a Torino il primo Pariamento Italiano e il successivo 14 marzo Vittorio Emanuele viene proclamato Re d’italia. La Bolla dell’erezione canonica porta la data del maggio 1871. Il nuovo regno contava circa 22 milioni d’abitanti e una superficie di 260.000 Kmq. Rimanevano fuori dei confini del regno solo il Lazio e le Venezie. Com’è facile immaginare, un succedersi così rapido e sconvolgente di eventi non poteva non determinare problemi, soprattutto per chi aveva responsabilità nel governo della Chiesa. Infatti, era stato invaso e in parte «annesso» lo Stato della Chiesa. Quanto agli altri Stati e Territori, la via seguita dal Piemonte non era la sola percorribile, né, tutto sommato, la più saggia, come hanno dimostrato gli eventi successivi. Per esempio, la logica delle «annessioni» e della materiale estensione delle leggi piemontesi aveva delle alternative, che avrebbero consentito di risolvere istituzionalmente il problema meridionale. A queste considerazioni di ordine politico se ne aggiungono altre che si riferiscono alla Chiesa e al suo ruolo nella Società.
Il Servo di Dio, mons. Petagna, non era certo contrario all’unità nazionale. Circa le modalità di attuazione di tale processo, non disponiamo di elementi sicuri relativi al suo pensiero. Tuttavia, sappiamo che accettò il plebiscito decretato da Garibaldi, anzi concesse che a Castellammare si svolgesse nella stessa cattedrale. Invece, l’impostazione dei rapporti tra Chiesa e Stato, così come vennero impostati attraverso un’applicazione delle Leggi Siccardiane — emanate dieci anni prima dal Ministro Siccardi, membro del Governo d’Azeglio, in Piemonte — non poteva essere accettata dal Petagna, perché comportava la soppressione di Ordini religiosi, parrocchie, istituzioni ecclesiastiche ed espropriazione dei beni della Chiesa. Giorgio Pallavicino, nominato da Garibaldi « dittatore » dopo il plebiscito del 21 ottobre, divenne sospettoso verso il clero e in modo particolare verso i vescovi. Per avere un’idea del clima che si venne instaurando nel meridione d’Italia, basti pensare che furono costretti ad abbandonare le loro diocesi i vescovi di Castellaneta, di Foggia, Molfetta, Sessa, Muro Lucano, Bitonto, l’arcivescovo di Matera, di Bari e lo stesso cardinale arcivescovo di Napoli, Sisto Riario Sforza che dovette imbarcarsi sull’Elettric e sbarcare a Marsiglia.
Era facile cadere in disgrazia. Garibaldi, dopo il suo passaggio, usava lasciare nelle città un comitato cittadino che a suo arbitrio applicava leggi piemontesi, giudicava comportamenti e li poteva qualificare come antipatriottici, sottoponendo persone a provvedimenti disciplinari, compreso il carcere e l’esilio, come accadde a mons. Petagna. Si cominciò ad accusare il Servo di Dio di filo-borbonismo. Infatti, egli aveva battezzato Maria Teresa, la figlia del re borbonico, nata a Castellammare dove la famiglia reale trascorreva le vacanze estive. In altra occasione, mons. Petagna, accanto al Sovrano e alla Regina aveva benedetto la fregata «Borbone» mentre veniva varata nei cantieri di Castellammare. Si inventò un’accusa precisa. Si disse che nel 1848, a Napoli, alcuni cittadini insorti, avevano trovato rifugio nel sotterraneo della chiesa di S. Ferdinando, di cui era rettore mons. Petagna. Qualcuno li aveva denunciati ai soldati svizzeri, al soldo di Ferdinando II: chi poteva essere stato se non il Servo di Dio? Nessuno poté mai provare l’accusa, però essa contribuì a creargli attorno un’atmosfera di diffidenza, specie quando il vescovo, per preciso dovere di pastore della Chiesa, dovette protestare contro l’applicazione delle leggi anticlericali. Papa Pio IX pensò di utilizzare i vescovi allontanati dalle loro diocesi anche fuori dei confini d’Italia. Siccome mons. Petagna conosceva bene il francese, il Papa pensò di mandarlo a Marsiglia in aiuto al vecchio vescovo della città.
Dal gennaio 1861 al dicembre 1866, mons. Petagna rimane in esilio, prima a Marsiglia fino al 13 ottobre 1865, poi a Roma. Da Marsiglia, invia una lettera pastorale alla sua diocesi, datata il venerdì santo del 1864, per celebrare, da lontano, una ricorrenza centenaria di S. Catello, patrono di Castellammare di Stabia. Si tratta di ben 110 pagine, nelle quali il vescovo «riabbraccia» i suoi fedeli lontani, delinea le sue convinzioni e direttive pastorali circa la libertà, la religione, il Papa, il protestantesimo, la fede, la carità, la preghiera. Mentre si prodiga in aiuto al vescovo della città francese che lo ospita, un giorno gli arriva la notizia che nel napoletano è scoppiato il colera. Siamo nel 1864. Fa domanda di rientrare a Castellammare, ma ne riceve un rifiuto. Allora prende una decisione autonoma: s’imbarca a Marsiglia verso l’Italia e rientra a Napoli, con il card. Riario Sforza, lo stesso giorno che vi arriva il re. In una relazione della prefettura di Napoli al ministro Ricasoli, si legge che mons. Petagna « si dette da fare perché gli fosse concesso di andare a Castellammare (…). Il Governo non credette di accedere alle sue domande né a quelle dei diocesani, sicché fu ricondotto alla frontiera romana ». Da Roma il Servo di Dio riprende la via di Marsiglia, dove s’immerge in pieno nell’attività pastorale, sempre in aiuto al vescovo infermo. È della domenica di Passione del 1865 una Lettera pastorale che egli invia «alle dilette popolazioni della diocesi di Castellammare» in occasione del giubileo. Non si può passare sotto silenzio l’incontro che egli ebbe, durante il periodo marsigliese, con Melania Calvat, la pastorella, cui era apparsa la Madonna della Salette il 18 settembre 1846. Suor Maria della Croce, come si chiamò la veggente dopo essere entrata presso le suore della Compassione, si legò talmente al suo padre dopo il suo rientro, a Castellammare trasferendosi successivamente ad Altamura (BA) dove morì nel dicembre del 1904.
Il governo italiano dell’epoca aveva bisogno di dimostrare, a un certo momento, di essere abbastanza forte da non temere il rientro dei vescovi esuli e dissidenti. Il disegno partiva, com’era avvenuto quasi sempre dal momento dell’annessione, molto dall’alto e la burocrazia statale impiegò del tempo prima di avvedersene. Ai Prefetti venne diramato l’ordine di fornire notizie circa «l’opinione attuale del paese» su tali vescovi. Ecco che cosa risponde il Sottoprefetto di Castellammare: « Mons. Francesco Saverio Petagna da Napoli, d’anni 45 circa, fu allontanato da qui il 15 dicembre 1860, con passaporto del Prefetto di Napoli per Marsiglia. Il novembre del 1865 si ridusse in Napoli, ove rimase fino all’aprile 1866 e quindi si recò in Roma (..) per nuovo ordine del Signor Prefetto. Fu causa del suo allontanamento l’odio e il furore popolare contro di lui ». Il documento continua dicendo che «l’opinione pubblica non è affatto mutata sul suo conto (…). Concludo che la sola idea di un ritorno di siffatto reazionario metterebbe uno scompiglio a tutto il pacifico sistema attuale». Invece il ministro Ricasoli dà ordine di attuare il suo piano e il Prefetto di Napoli comunica con notevole disinvoltura al suo viceprefetto di Castellammare: «In vista delle attuali condizioni politiche del Regno e della condotta tranquilla tenuta dal Petagna, io sarei dell’avviso che non si ponesse ostacolo al ritorno nella sua diocesi». Tutte queste trattative tra governo centrale e Prefetti avevano lo scopo di preparare l’operazione come una dimostrazione di forza e di stabilità dell’Italia riunificata: «Il ritorno dei vescovi nelle loro diocesi ingenera la persuasione che il governo attuale ha tale forza vitale da non temere per la libertà e tranquillità del paese».
Il rientro di mons. Petagna nella sua diocesi fu salutato da grande giubilo di popolo. Però, dopo cinque anni di lontananza, il Servo di Dio trovò un cumulo di problemi d’ogni genere che urgeva risolvere. Anzitutto, disastrosa era la situazione economica. In proposito, ecco cosa il Prefetto di Napoli scriveva il 6 ottobre di quell’anno 1866, al ministro Ricasoli: «Gli episcopi erano occupati dalle truppe, ridotti in cattivo stato, mancanti di mobili, e non vi erano denari per i relativi restauri. I vescovi chiesero somme più o meno cospicue, ma necessarie e non ottennero che somme insignificanti con cui si è creduto provvedere ai loro bisogni». È facile intuire in quali condizioni versassero le parrocchie, i sacerdoti in cura d’anime e quelli senza cura d’anime prima sostentati da rendite che il nuovo governo aveva abolito. Tuttavia, mons. Petagna pensò a prendere un contatto vivo, sulla base di una esperienza di fede, con la popolazione e indisse una Missione popolare per tutta la diocesi nel periodo compreso tra il 15 settembre e il 15 dicembre. L’iniziativa riuscì in pieno. Così il pastore poté riprendere i contatti con il suo popolo. Due anni dopo il rientro, mons. Petagna, assieme ai suoi confratelli nel governo della Chiesa, fu chiamato da Pio IX, ormai ottantaduenne, alla preparazione del Concilio Vaticano I. L’enciclica di convocazione porta la data del 29 giugno 1868.
Sotto la guida del card. Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, l’episcopato della Campania si preparò in modo egregio all’evento, come lo dimostrano gli interventi, tanto che si è potuto scrivere: «Nessuna regione presentò tante proposte al Concilio quanto la provincia ecclesiastica di Napoli». Il pensiero di mons. Petagna circa il grande tema del Concilio, cioè l’infallibilità pontificia, è espresso nell’intervento che egli ebbe al Concilio e in uno scritto uscito a stampa nel 1897, cioè dopo la morte del Servo di Dio. Non è qui il luogo per una esposizione anche solo sintetica del contenuto dei due documenti — l’intervento nell’aula conciliare e lo scritto edito più tardi — basti dire che vi si respira la vasta cultura del vescovo che ripercorre la storia del cristianesimo nelle varie fasi, nelle diverse culture, alla luce di quanto dissero e fecero le figure più significative di tutti i tempi, soprattutto alla luce della S. Scrittura nei documenti del Nuovo Testamento e delle tradizioni apostoliche.
Gli ultimi anni della vita del servo di Dio furono resi più difficili, dal punto di vista pastorale, dalla malattia che lo colpì e che lo costrinse a concentrare la sua attenzione piuttosto sui problemi spirituali. Tuttavia, ciò gli consentì di realizzare un grande sogno: quello di diventare animatore di santità, curando soprattutto lo sviluppo dell’istituto delle Vittime dei Sacri Cuori. A contatto con il mondo religioso e fervente della Francia, nei lunghi anni dell’esilio a Marsiglia, e con i vescovi giunti a Roma da ogni parte del mondo in occasione del Concilio Vaticano primo, le sue visuali culturali e pastorali si erano molto dilatate. Andò maturando in lui l’idea di un’istituzione, che pur non avendo nulla di claustrale, si assumesse il ruolo della riparazione dei peccati degli uomini e che insieme si prodigasse per l’educazione della gioventù. L’idea piacque soprattutto negli ambienti giovanili.
Mons. Petagna si avviava rapidamente alla conclusione della sua vita terrena a causa di una grave anemia. Per rallentare il corso del male, si pensò di fargli cambiar clima: a Torre del Greco, a Vico Equense, a Ischia. Era tutto inutile. Il Servo di Dio capì che non c’era più nulla da fare e cominciò a prepararsi a quello che chiamava il «giorno della benedizione», che giunse puntuale com’era scritto nel disegno di Dio. Il Vescovo aveva solo 66 anni di età.