La pubblicazione di nuovi studi sulla Chiesa del Mezzogiorno d’Italia tra Ottocento e Novecento convalida la prospettiva metodologica circa la necessità di ricerche limitate ad una diocesi o ad una parrocchia, all’episcopato ed al clero, ai religiosi ed alla pietà popolare. La diversità esistente tra un territorio e l’altro nel sud è motivo di indagini limitate a piccole aree per cogliere originali modi di essere chiesa che nel corso dei secoli si sono sviluppati nella comunità esprimendo una religiosità popolare che era, anche, sintesi di trascorse tradizioni e di differenti necessità. Lo studio, poi, dei vescovi, del clero e dei religiosi, consente un approccio ancor più incisivo con la storia sociale e religiosa meridionale, se non altro per il ruolo che essi ebbero in una società, quale era quella del Mezzogiorno, che costantemente si richiamava alla religione.
Il libro di Giovanni Celoro Parascandolo su “Mons. Francesco Saverio Petagna, il vescovo della carità, il difensore della fede” (edizione a cura della Congregazione delle religiose dei Sacri Cuori, Roma 1986), costituisce, quindi, una occasione per gli studiosi del passato del Meridione, più che per le riflessioni dell’Autore appena abbozzate, per la ricchezza dei documenti pubblicati. Sono citati nel testo documenti, in gran parte originali, che illustrano la profonda pietà e la vigorosa spiritualità di Mons. Petagna, un Vescovo del XIX secolo che seppe essere capace di una azione apostolica notevole malgrado l’opposizione degli anticlericali e quella di alcuni dei suoi sacerdoti poco sensibili alle “novità” pastorali del loro presule, sordi comunque alle sollecitazioni di Mons. Petagna che indicava la via della santità attraverso la contemplazione e la spiritualità.
Le esperienze di Don Petagna a Napoli, prima della sua nomina a Vescovo di Castellammare di Stabia, furono interessanti sia come rettore della Chiesa di San Ferdinando di Palazzo che come padre spirituale del sodalizio di S. Maria dei Sette Dolori. Fu un incarico breve ma fruttuoso; a Napoli Mons. Petagna redasse la sua prima lettera pastorale ai diocesani i cui contenuti rispecchiano tutta la sua pastoralità e la conoscenza che egli aveva della realtà ecclesiale del Sud e della Chiesa di Castellammare. Vi sono infatti nel documento esortazioni al clero significative: “siate modello nel parlare, nel conversare, nella carità, nella fede, nella castità, nella dottrina, nella purità dei costumi, nella gravità. Assidui all’orazione ed alle opere del ministero”. Egli era convinto che un clero santo e preparato avrebbe potuto avere una parte essenziale nelle comunità e costituire un punto di riferimento nell’opera di rinnovamento intrapresa nel regno dopo la Restaurazione. Per lo stesso motivo la sua attenzione al seminario, nella citata pastorale, è ricca di spunti spirituali suggestivi; il prelato propugnava in sostanza una radicale riforma dei “costumi” del clero, che sarebbe stata possibile solo con un seminario idoneo.
Nel corso del primo decennio di episcopato Mons. Petagna mostra una grande capacità di governo; è vicino ai poveri con particolare sollecitudine e propone un’ampia gamma di opere pastorali e sociali, parzialmente attuate per l’inerzia di molti tra i suoi preti, protesi più a difendere od a sollecitare ipotetici diritti che ad impegnarsi nella catechesi ed in un apostolato idoneo alle esigenze del territorio. Petagna in sostanza mostra una sollecitudine pastorale intensissima, per questo promuove le cappelle serotine, accoglie con particolare calore le suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, rimuove con forza tutti gli ostacoli che si frappongono all’attuazione dei suoi programmi. I documenti pubblicati in questo volume offrono una panoramica ampia della fervorosa attività del Vescovo che mostra sempre più energia nel reprimere dissidi tra il clero e nello stesso tempo favorisce l’asilo di mendicità o l’evangelizzazione nelle campagne, un ritiro per le orfane e la riforma degli studi nel seminario. Egli in pochi anni promosse una vasta pastoralità che coinvolse l’intera diocesi e che ebbe, nella congregazione dell’Immacolata Concezione di sacerdoti secolari, il suo più qualificante momento. Il suo progetto di creare una istituzione dove il clero potesse “menar vita comune” e, cioè, svincolato dalla famiglia, fu una intuizione originale, ripresa dopo quasi un secolo dal grande vescovo Nicola Monterisi.
Dopo l’Unità Mons. Petagna fu costretto all’esilio prima a Marsiglia e poi a Roma; egli governò la diocesi di Castellammare impartendo disposizioni al suo vicario generale. Furono anni difficili; a Castellammare furono intentati due processi penali a carico del vescovo accusato di reati inesistenti, mentre la “bufera” anticlericale si avvertiva in diocesi creando divisioni e sterili polemiche. Nelle lettere scritte dall’esilio il vescovo mostra di essere informato degli eventi della diocesi e con equilibrio promuove un’opera attenta, essenzialmente spirituale, che trova piena attuazione in quella Chiesa. Il distacco fu, quindi, attenuato dalla sua “guida” spirituale, dai suoi reiterati interventi, dalle sue sollecitudini pastorali che resero sempre più saldo il suo rapporto con la diocesi.
Nel 1866 Mons. Petagna torna in diocesi e riprende con l’intensità del passato il suo “servizio” episcopale con una particolare attenzione al seminario ed alla catechesi, sollecitando Melania Calvat, la pastorella della Salette che era stata sua penitente a Marsiglia, a curare la formazione di alcuni istituti religiosi di Castellammare. Alle Alcantarine scriveva: “Ricordatevi, come prescrivono le vostre Costituzioni, di istruire la gioventù povera nell’intelletto e nella pietà... tutte aiutino i parroci nelle opere di misericordia, poiché è prescritto nelle vostre Costituzioni di collaborare con essi specialmente nel visitare ed avere cura delle donne inferme, nonché istruirle nei principi della fede e disporle a ricevere i sacramenti”. E’, questo, uno scritto che documenta tutta un’azione pastorale di Mons. Petagna, attenta e concreta, che si riallacciava al passato ma che rispondeva alle necessità dei tempi. Ma per un’opera apostolica così coraggiosa si rendeva necessario un impegno più qualificante che privilegiasse la formazione dei giovani; per questo il 19 marzo del 1871 fondò la Congregazione delle Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, “un ordine di suore — egli scriveva — che s’addicessero all’educazione delle fanciulle sia con pensionato interno, sia con scuola esterna” che si dovrebbe occupare “dei poveri, degli infermi e di coloro che volessero ritirarsi in casa per fare in alquanti giorni, gli esercizi spirituali”. Fu, di fatto, l’ultima sua grande opera, dopo l’approvazione delle Congregazioni delle suore Compassioniste ed Alcantarine, i tentativi di promuovere un clero attivo e santo, le cappelle serotine e numerose istituzioni di carità.
L’opera di Mons. Petagna resa difficile dagli eventi e dalle incomprensioni dello stesso clero, costituisce il primo, qualificante, passo per un’azione apostolica ampia nelle diocesi del Mezzogiorno dopo l’Unità, un’azione che trovò impegnate quelle Congregazioni religiose sorte, dopo il 1860, che avviarono un’evangelizzazione ed un’azione sociale di eccezionale entità.